Il quesito si presenta come un paradosso che farà storcere il naso agli imprenditori del settore così come agli ambientalisti. Il settore turistico, si sa, è tra quelli che stanno accusando le conseguenze dell’epidemia più gravi sul piano economico e gestionale e che ne risentiranno maggiormente anche al termine dell’emergenza sanitaria in corso. D’altro canto, anche questo è risaputo, le navi da crociera sono spesso incriminate di essere le principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, oltre che di svariati disastri ambientali nei mari.
Gli indici di qualità dell’aria in questi giorni, così come la ritrovata limpidezza di certe acque, dimostrano come, di fatto, l’ambiente stia beneficiando dello stop del settore. Tra i due termini del quesito iniziale sembra vigere il paradigma “Mors tua, vita mea”; difficile dunque pensare che la ripresa della navigazione possa coesistere con un qualche beneficio per l’ambiente.
Eppure, sono proprio questi i termini della questione che sta animando il dibattito politico-economico negli Stati Uniti.
È di questi giorni la notizia della proroga del No-Sail Order, attuato il 14 di marzo dal Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (i.e. CDC Centers for Disease Control and Prevention), per almeno altri cento giorni e fino a quando il coronavirus non costituirà più un’emergenza sanitaria pubblica. L’estensione del provvedimento, che impone lo stop alla navigazione di tutte le navi da crociera, coinvolgendo circa 100 navi e 80.000 membri dell’equipaggio rimasti a bordo, comporterà un danno economico di 92 milioni di dollari per ogni giorno di sospensione. Queste le stime pubblicate in un documento della Clia (i.e. Associazione internazionale delle compagnie crocieristiche) che analizza anche l'impatto sul mondo del lavoro e sul diffuso indotto dell’intero settore. Anche al termine dell’emergenza sanitaria le compagnie crocieristiche risentiranno del condizionamento psicologico dei passeggeri, diffidenti e restii, anche alla luce di quanto accaduto sulla Diamond Princess. Non è un caso che la Carnival Corporation, proprietaria del marchio Princess Cruises, abbia assistito a un calo delle azioni dell’80% rispetto al picco di gennaio.
Il salvataggio finanziario dell’industria crocieristica è stato quindi argomento di discussione del governo statunitense. L’ ipotesi di istituire un pacchetto di misure di stimolo all’economia del settore ha suscitato reazioni contrariate da più parti. Da un lato i democratici hanno evidenziato che i colossi del settore, pur avendo i propri headquarters a Miami, di fatto non pagano le tasse negli Stati Uniti, avendo registrato le navi al di fuori dei confini. Dall’altro le associazioni ambientaliste hanno ricordato i disastri ambientali causati da alcune compagnie crocieristiche, costrette per questo a pagare multe plurimilionarie.
Le associazioni ambientaliste hanno proposto che gli aiuti economici alle compagnie crocieristiche vengano subordinati ad alcune condizioni, comprendenti obblighi fiscali e azioni di tutela ambientale, da attuarsi da parte delle compagnie beneficiarie. Tali richieste, elencate in una lettera inviata al Senato americano, firmata da Stand.earth, Greenpeace e Friends of the Earth, prevedono di:
Con il ridimensionamento dell’epidemia di coronavirus, le crociere man mano riprenderanno ma le compagnie dovranno lavorare duramente per convincere i viaggiatori più scettici che le navi sono sicure per la salute dei passeggeri e per l’ambiente. Affinché ci riescano e ne traggano dei vantaggi di lungo termine non basteranno campagne pubblicitarie ottimiste e offerte di mercato accattivanti; sarà necessario, nel futuro post-pandemia, cambiare radicalmente il modo di operare delle navi da crociera. In questo senso le condizioni poste dagli ambientalisti si configurano come un’occasione irrinunciabile.
Ecco che allora il quesito - Può il Coronavirus essere un’occasione vantaggiosa sia per il settore crocieristico che per l’ambiente? - trova la sua risposta.
Crediti foto: LUM3N; Fachdozent; cocoparisienne
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